Descrizione
Nel corso della trattazione vengono alla luce temi e problemi di grande complessità, ancor oggi dibattuti dalla critica, per i quali vengono proposte, in maniera originale e rigorosa, alcune possibili soluzioni.
Innanzitutto l’ interpretazione dell’opera di Alfred Jarry (la cui oscurità ha dato luogo, come per Kafka e altri autori del Novecento, a innumerevoli e infruttuosi tentativi di esegesi). L’autrice propone, in maniera originale nel panorama della critica, la chiave bergsoniana per l’accesso all’opera di Jarry e alla sua invenzione più rilevante: la Patafisica.
Ridefinito rigorosamente, nel primo capitolo, il concetto di Patafisica secondo il suo autore, si passa, nel secondo, ad esaminare come tale concetto sia stato recepito dai suoi emuli o eredi: artisti, scrittori, movimenti o istituzioni; evidenziando fra l’altro come e perché esso sia stato a volte travisato.
Il terzo capitolo mostra come la Patafisica in quanto teoria generale del caos che governa l’esistente, ancorché liberamente interpretata dall’artista, si riveli però estremamente produttiva nell’opera di Enrico Baj; confermando così che nell’operare artistico (e nella sua riuscita) ciò che conta non è la verità della teoria filosofica adottata, quanto il ruolo che essa gioca all’interno del complesso campo di forze che genera la forma.
“Noi non sappiamo creare dal nulla, ma lo potremmo dal caos”, scriveva Jarry ne I giorni e le notti. Ed Enrico Baj, nel caos generato dalla Seconda Guerra Mondiale – e nella tabula rasa artistica che ne consegue – propone, tramite la propria arte, una personale palingenesi, concretizzando in questo modo l’indicazione del poeta.
In sintesi, questo libro, seppure centrato su Baj, è una originale e coraggiosa revisione critica della Patafisica, cioè di quella misconosciuta filosofia che è stata al centro di alcune delle più importanti avanguardie artistiche del Novecento.
Recensioni
Ancora non ci sono recensioni.